Ci sono poeti ermetici e game designer ermetici. Si è disquisito in più di un occasione sul fatto che i videogiochi siano o non siano arte, e nonostante alcuni pareri illustri contrari, io non sono affatto d’accordo. Così come il cinema, anche il videogioco non deve essere considerato solo intrattenimento di serie B. Come in sala escono pellicole che certo non possono definirsi arte, anche nei videogiochi ci sono titoli di mero intrattenimento e produzioni che tramite questo medium cercano di esprimere concetti profondi toccando a volte picchi vertiginosi di qualità non solo visiva ma anche narrativa.
Inside è proprio il genere di gioco che io considero arte, e Playdead, i suoi sviluppatori dopo l’ottimo Limbo, si riconfermano artisti con questo Inside, utilizzando nuovamente uno stile riconoscibilissimo già utilizzato con il titolo precedente.
Inside racconta una storia proprio come piace a me, e proprio come i veri artisti fanno con il cinema: attraverso le immagini. Non c’è un dialogo, non esiste una sola riga di testo ne una trama scritta. Semplicemente il giocatore si trova catapultato in un contesto, e muovendosi al suo interno comincia da se a farsi un idea di dov’è, del perché e di cosa è successo. La storia viene raccontata per immagini e situazioni, ed ognuno è libero di interpretarla secondo la propria sensibilità. Ditemi voi se questa non è arte?!
Parlando “semplicemente” di cosa sia Inside dal lato prettamente ludico, vi dirò che si tratta di un “platform/adventure” dove, ai comandi di un bambino, dobbiamo farci strada in una sorta di area proibita risolvendo puzzle ambientali per poter proseguire nel gioco. Le uniche azioni a nostra disposizione sono saltare e spostare oggetti. Come già detto, chi sia il bambino e perché si trovi lì non lo sappiamo, e non lo sapremo mai. Cosa sia quel luogo e cosa stia succedendo, piano piano lo scopriremo, o meglio, ce ne faremo una nostra personale idea avanzando verso il termine. Gli enigmi sono davvero interessanti e mai ripetitivi. Poco alla volta ci vengono introdotte alcune meccaniche che non vi svelerò per non rovinarvi l’esperienza, ed a queste se ne aggiungeranno sempre di nuove, espandendo le precedenti in modo naturale. Graficamente il titolo è ispirato e ben realizzato. Gli autori ci immergono in una realtà dispotica e cupa fatta di desolazione, solitudine e morte con uno stile grafico cupo davvero accattivante, mentre la colonna sonora essenziale sottolinea alla perfezione le immagini a schermo. Pur trattandosi di un titolo molto lineare basato fondamentalmente sul trial & error (non ci sono vite, quando si muore si ricomincia semplicemente dall’ultimo check point per riprovare e capire cosa abbiamo sbagliato), Playdead non ha dimenticato di coccolare i giocatori più canonici offrendo loro una sfida nella sfida. Infatti per i maniaci completisti, all’interno del gioco sono state nascoste quattordici misteriose sfere luminose che, se trovate tutte, possono portare ad un finale alternativo, e vi assicuro che trovare più di sei/sette è una vera sfida.
Onestamente non voglio dirvi altro su questo meraviglioso esempio di videogioco e narrativa perché mi è piaciuto così tanto che anticiparvi troppo sarebbe un vero delitto, quindi mi perdonerete se questa recensione vi sembrerà poco esplicativa, ma davvero, dire di più sarebbe un peccato.
Inside è disponibile un po’ per tutte le piattaforme, a partire dai cellulari fino a questa ultima versione per Nintendo Switch, e se non lo avete già fatto, vi consiglio caldamente di giocarci. Questo è tutto.