L’amore per certi giochi non finisce, ma anzi fa dei giri immensi per poi ritornare. Nel citazionismo esasperato registrato, in queste ore, nelle varie review internazionali di Tekken 7, parafrasare il buon Antonello Venditti, a noi, sembrava la cosa migliore. Perché l’opera ultima del talentuoso Katsuhiro Harada, pur rispettando, nel corso di quasi 23 anni, pubblicazioni e scadenze simili a quelle di altre storiche saghe, ha l’indubbio merito di aver riportato interesse nei confronti della serie. Un interesse scemato col tempo eppure, in queste ore immediatamente precedenti all’uscita del picchiaduro di Namco Bandai, incredibilmente forte e sincero. Merito della campagna marketing, dirà qualcuno. Ed un po’ è sicuramente vero. Merito di un una qualità complessiva elevata, di un gameplay equilibrato e di livelli produttivi importanti, dirà qualcun altro. E quel qualcuno ha sicuramente ragione, perché il nuovo Tekken è un ottimo picchiaduro. Non il migliore in termini assoluti, ma solo per poco.
CI VUOLE IL PUGNO DI FERRO
Pur non raggiungendo complessità di intreccio narrativo registrate in altri beat’em’up, su tutti Mortal Kombat, l’universo di Tekken potrebbe competere abilmente con quello di una telenovela sudamericana qualsiasi. Non è per forza un male, chiariamo. Le vicende che fanno da sfondo ai protagonisti della famiglia Mishima, sempre accennate o, per lo meno, abbozzate nei precedenti capitoli, ritornano con una nuova struttura, fatta apposta per inseguire i canoni del picchiaduro moderno dettati da NetherRealm. Tanto per dire che sì, Tekken 7 ha la sua modalità storia, dalla durata variabile tra le 2 le 3 ore, che ha comunque la sua dignità. Quella narrativa, ma anche e soprattutto ludica, dato che, per certi versi, funge da tutorial a chi si affaccia per la prima volta con la serie targata Bandai Namco. Oppure, magari, potrebbe servire a dare una poderosa rinfrescata a chi, tra i più anzianotti, non toccava un Kazuya qualsiasi da qualche anno. In fondo, la numerazione ufficiale si era interrotta nel 2006. Da allora ad oggi, nel mezzo, un secondo Tag Tournament passato un po’ in sordina e un genere, quello dei picchiaduro 3D à la Virtua Fighter, lontano dai fasti di un tempo. E allora, ben venga la campagna single player che spiega i perché e i percome del clan Mishima e, più filosoficamente, affronta la tematica dell’eufemisticamente difficile rapporto tra padre e figlio. Che si tratti, come nel caso di specie, di due psicopatici attaccabrighe come Heiachi o Kazuya poco conta. Il dramma familiare vissuto dai due protagonisti, attorno cui ruotano le vicende di altri personaggi, vecchi e nuovi, si rivela comunque piacevole. La narrazione, affidata alle parole di un misterioso giornalista, procede spedita, inframmezzata da cut scene e schermate, ma soprattutto dai combattimenti. Si tratta solo di un assaggio, una sorta di antipasto, leggero e gustoso, per quelle che sono, poi, le altre modalità in singolo e soprattutto in multi. Perché poi, alla fine dei conti, Tekken 7 non è Beautiful e, neppure, Mortal Kombat X. Si tratta, piuttosto, di un gioco altamente competitivo, dal gameplay pensato per dare il meglio di sé in sala giochi o, magari, in qualche competizione ufficiale da eSports. Ambizione che, sin dalle prime mazzate su schermo, l’opera di Harada non fa nulla per nascondere.
L’ULTIMO DEGLI ARCADE
Le origini da Arcade di Tekken 7, protagonista delle sale giochi nipponiche da circa un biennio, emergono, con forza, anche in questa versione casalinga. Si parta dal roster: ampio, numeroso, variegato. Soprattutto, splendidamente bilanciato. In un mix tra vecchi e nuovi, le possibilità di attacco e difesa in dote ad ogni combattente mettono in risalto il grande lavoro svolto dal team di sviluppo nel bilanciamento dei vari combattenti. Rispetto al passato, poi, vi sono piccole, ma piacevoli, variazioni sul tema. Un esempio su tutti: l’ingresso, direttamente da Street Fighter, dell’iconico Akuma cambia le carte in gioco, permettendo un tipo di approccio e uno stile di gioco sensibilmente diverso rispetto a quello, tradizionale e caratteristico, che ogni veterano di Tekken ben conosce. E poi, sono evidenti i limiti al juggling, altra tecnica nota e ancora presente, ma evidentemente meno invasiva. Da questo punto di vista, Tekken 7 si presenta come un picchiaduro molto più fisico, persino “più pesante” rispetto ai suoi predecessori. Ogni pugno, ogni calcio, ogni special si sente nelle dita, si sente sul pad e, idealmente, nella “pancia” del videogiocatore. Merito, pure, degli splendidi effetti particellari che incorniciano colpi e parate. Merito, anche, delle concessioni alla spettacolarità regalate, praticamente senza eccezioni, alle fasi finali di ogni singolo round, quando la barra dell’energia si abbassa drammaticamente e comincia a lampeggiare. Quando in gioco, insomma, entrano le Rage Art.
FURIA DISPERATA
Si tratta, questo, di un aspetto destinato a far discutere e che, probabilmente, farà storcere il naso ai puristi della serie. Le Rage sono, fondamentalmente, le nuove Super secondo la concezione di Harada e simboleggiano, più delle variegate e infinite possibilità di personalizzazione estetica – e solo estetica – dei vari personaggi e più della già sviscerata modalità storia – il senso di novità di questo ultimo capitolo. La Rage è una mossa devastante, dal danno inflitto notevole, e può essere attivata solo quando la barra dell’energia è pericolosamente vicina alla fine. Serve, in pratica, a ribaltare gli esiti dell’incontri. E fin qui. Il problema, se davvero lo è, risiede nella sua attivazione. O tramite combinazione di tasti diversa per ogni lottatore o, molto più semplicemente, tramite la sola pressione del tasto destro. Questo comporta, per davvero, match in bilico sino all’ultimo secondo, sino all’ultima tacca di quella stessa barra ancorata, disperatamente, ad un colpo bello da vedere e bello da eseguire, ma, per certi versi, insopportabile da subire. In realtà, qualche ora di gioco studiato ed attento permetterà di prendere le giuste contromisure anche alla più devastante delle Rage, per una meccanica che, comunque, almeno all’inizio potrebbe apparire difficile da metabolizzare.
ARCADE PERFECT
Il titolo, nella versione Xbox One testata, si presenta tecnicamente valido e molto vicino alla sua controparte arcade. Ottime le arene, impreziosite da alcuni agenti atmosferici – su tutti il vento – e da una direzione artistica notevole. Discreti i modelli poligonali, caratterizzati dal solito stile un po’ grottesco e splendidamente giapponese, ed eccellenti le animazioni. Un aspetto da non sottovalutare in un picchiaduro, dove il corretto concatenarsi di colpi e mosse è indice primo di gameplay sopraffino. Tekken 7 resta più accessibile della maggior parte della concorrenza 2D, ma non per questo, Rage Art inclusa, è un gioco “casual”. Anzi. Le concessione al grande pubblico, semmai, non faranno altro che ampliare la platea di un titolo destinato, per piani e sua stessa natura, ad un futuro competitivo su platee importanti. In questo senso, la modalità online presente dovrebbe rappresentare un importante banco di prova per testare, proprio come i tornei organizzati sul divano con gli amici, il bilanciamento del gameplay e dei personaggi. Purtroppo, spiace constatare come il netcode soffra la lentezza del matchmaking mostrando il fianco, pure, ad un lag davvero troppo accentuato e, quando va bene, ad un persistente ritardo nella risposta dei comandi. Pollice in su per il sonoro, con musiche incalzanti ed effetti sonori che contribuiscono a innalzare quella già citata sensazione di fisicità degli scontri. Tanto per dire che sì, gli amori finiscono e poi ritornano, ma Tekken 7 conferma quello che, tutto sommato, sapevamo già nel 1994. Ovvero, che i giapponesi i picchiaduro li sanno fare, eccome. Quello che non sapevamo è che per un’infrastruttura online dignitosa ci sarebbe stato da aspettare più di 23 anni. Speriamo di non dover arrivare a 30.